La tipografia artigianale, intesa come una volta, cioè la bottega nella quale si stampava con caratteri mobili, oggi non esiste più. Niente di strano: l’evoluzione e il progresso cambiano tutto, ma ciò non toglie che la storia della tipografia sia estremamente affascinante e che le aziende tipografiche di oggi, sebbene lontane da quelle del passato, debbano molto ai loro predecessori. In questo articolo, vogliamo portarti alla scoperta della tipografia, di com’è nata la stampa, di nomi come Gutenberg e Bodoni, di come sono nati i caratteri mobili e dell’evoluzione che ci ha portato, oggi, ad avere tipografie online che stampano tutto quello che vogliamo, semplicemente ordinando via e-mail o via form.
La tipografia, una breve introduzione
Partiamo dalla definizione, che ci aiuta a capire meglio di cosa stiamo parlando. Tipografia è un termine italiano che nasce dalla sintesi di due parole greche: τύπος (impronta) e γράφειν (scrivere). Con questo vocabolo si definisce tutto l’insieme di quei processi di composizione e di stampa attraverso matrici a rilievo, che sono l’espressione di caratteri mobili e cliché a inchiostro. Dall’attività in sé, il termine tipografia è passato a indicare, con una sineddoche, la bottega od officina in cui tutti queste operazioni di stampa vengono compiute.
Parliamo del XV secolo, ma le cose non sono cambiate molto fino a qualche decennio fa… Tuttavia, ogni cosa evolve e così fa anche il concetto di tipografia, del quale – oggi – rimane il nome e sicuramente la funzione (riprodurre a mezzo stampa qualsiasi cosa debba essere divulgata), ma non i processi produttivi, che sono ormai stravolti rispetto a un tempo.
La tipografia che cambia
Ad esempio, giusto per dare un assaggio di quello che significa il progresso, la più grande trasformazione della stampa tipografica si è verificata con l’introduzione della stampa offset, che ha cambiato tutto, perché la stampa è diventata improvvisamente molto più veloce e di migliore qualità, rispetto al lavoro artigianale che si faceva in precedenza.
La stampa digitale, oggi, è in continua evoluzione e domina il settore con indubbi vantaggi; inoltre, con il supporto delle tecniche per la nobilitazione degli stampati – che passano attraverso plastificazioni, oro a caldo, lucidature UV, stampa a secco e stampa chimica a rilievo – si ottengono innumerevoli effetti che impreziosiscono gli stampati, grazie alla creatività del genio umano e alle innumerevoli e differenti tecniche di stampa.
Ogni tipografia ha cominciato a specializzarsi: accade ad esempio, per la cartotecnica, che si occupa espressamente della fustellatura, cioè della realizzazione di packaging, di cartonati, di astucci, di espositori, di scatole, che vengono stampati in litografia e flessografia. Oggi, grazie alla stampa offset UV, è possibile stampare su qualsiasi supporto, anche plastico: immagina fare questo nel XV secolo… Non solo non c’erano supporti plastici (!), ma non esisteva nemmeno l’embrione dell’idea che si potessero stampare più di una pagina alla volta, senza considerare le tante nobilitazioni!
La storia della tipografia, i primi passi
La scrittura è ciò che separa la preistoria dalla storia: nel momento in cui l’uomo inizia a lasciare traccia del suo passaggio, grazie a disegni e comunicazioni scritte, ecco che la Storia dell’umanità cambia completamente. Gli amanuensi fanno tutto il lavoro di trascrizione, finché l’invenzione della stampa rende tutto più agevole. Si dice che sia stato Johann Gutenberg a stampare il primo libro della storia, ma è possibile che i Cinesi lo avessero fatto prima. Senza contare che, contemporaneamente a Gutenberg, in altri Paesi, come l’Italia, la Boemia, l’Olanda, si stavano facendo esperimenti simili.

Il primo libro stampato da Gutenberg è una Bibbia a 42 linee, che sono quelle stampate per pagina. È il 1455 e la tecnica utilizzata consiste nell’allineare dei cubetti metallici con lettera a rilievo, costruendo delle linee che, a loro volta, costruiscono la pagina da stampare. Ogni cubetto viene inchiostrato e impresso sulla carta grazie alla pressione del torchio. I volumi pubblicati con questo sistema si chiamano incunaboli, dal latino incunabulum, che vuol dire “culla”. Per realizzare 180 copie della Bibbia di Gutenberg, ci vogliono ben tre anni di tempo. Ma un’invenzione così preziosa e geniale non può rimanere segreta e la sua novità arriva ovunque in Europa, nel giro di un decennio, mentre Venezia diventa il più importante centro di stampa di tutto il vecchio continente.
La Bibbia, il primo libro stampato in tipografia
Non possiamo certo pensare che Gutenberg, un giorno, si fosse svegliato e avesse deciso di stampare una Bibbia! Dietro questo lavoro, ci sono non solo lui, ma dei soci e dei collaboratori e, soprattutto, tantissima preparazione. Attuare un’idea geniale è spesso un’impresa e prima di stampare la sua Bibbia, Gutenberg si allenò a stampare pagine singole su carta in fibra di canapa, per poi passare a piccoli libri, come la grammatica latina di Donato: tutti questi esperimenti gli permisero di imparare a calibrare e usare il torchio.

Naturalmente, il lavoro era espressamente manuale: ogni linea consisteva di caratteri a rilievo e invertiti, che insieme formavano le parole, spesso abbreviate per risparmiare spazio e lavoro. Non appena le linee della pagina venivano assemblate, tutto si ricopriva di inchiostro, spennellato con crine di cavallo. Nel frattempo, si preparava il supporto, cioè la pagina di carta inumidita su una tavola di legno.
La pressa, manovrata da due operai, aveva lo scopo di trasferire l’inchiostro delle linee sulla pagine: ed ecco che nascevano le prime pagine stampate! Se riteniamo che tre anni per stampare 180 copie della Bibbia siano tanti, dobbiamo pensare che un amanuense, nello stesso lasso di tempo, ne avrebbe prodotta una copia sola. Ecco spiegata la straordinarietà e la rivoluzione di un’invenzione come la stampa a caratteri mobili!
La storia dei font nella tipografia
Helvetica, Times, Bodoni, Cambria: quale font usi di più? Non importa, tanto puoi cambiarlo ogni volta che vuoi, per tutto il testo, in un click. Ma da dove arrivano quelli che oggi chiamiamo font? I bellissimi caratteri da amanuense utilizzati nella tipografia di Gutenberg erano, appunto, bellissimi, ma poco funzionali per la stampa. Troppo elaborate, troppo dispendiose, troppo bisognose di inchiostro, le lettere del carattere gotico di Gutenberg dovevano essere sostituite al più presto.
Torniamo, quindi a Venezia, dove Nicholas Jenson viene colpito dalla linearità dei caratteri usati dai romani (che, dovendo scolpire su pietra, non potevano certo perdersi in fronzoli), e realizzò il primo Roman, con curve regolari e linee dritte molto facili da leggere. Inutile dire che il successo fu immediato! Poco dopo, sempre a Venezia, fu introdotto il carattere corsivo, poi dalla Francia arrivò quello dello stampatore Garamond e, finalmente, quello dell’italiano Bodoni.
I caratteri tipografici di Bodoni
Nato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, nel 1740, Giambattista Bodoni era figlio di uno stampatore. Il carattere Bodoni, oggi conosciutissimo, nacque nel 1798: linee a contrasto ed estremità definite portarono una vera e propria rivoluzione tra i caratteri della stampa e sancirono un momento di rottura dal passato e di nascita dei font moderni.
Ma Bodoni non è famoso solo per aver rivoluzionato i caratteri della stampa, perché è anche l’autore del celeberrimo Manuale Tipografico, nel quale sono contenute incisioni, caratteri latini ed esotici, vignette, tutto stampato in maniera impeccabile ed artistica. Tuttavia, quello che colpisce di più sono le quattro qualità principali che una famiglia di caratteri da stampa doveva avere e dei quali parla nella prefazione del suo volume.
Si tratta dell’uniformità del segno, in cui le lettere uguali, lo devono essere sempre; dell’eleganza e della nitidezza, che derivano da una rifinitura superiore dei punzoni; del buon gusto, ossia della semplicità e dell’ispirazione al passato; dell’incanto, cioè dell’estasi che si prova di fronte a lettere realizzate con calma meditativa e non con fretta o svogliatezza.
La composizione tipografica
La stampa inventata da Gutenberg rimase molto simile fino alla metà del XIX, quando fu realizzata la prima compositrice meccanica. L’inchiostro usato dal tipografo era molto innovativo rispetto ai tempi, perché utilizzava materiale come l’olio di lino al posto dell’acqua; le cartiere erano attive in Europa già dal XIII secolo e con l’invenzione della tipografia ebbero un bell’incremento di lavoro. Insomma, tutto sembrava a favore di questa nuova, fantastica invenzione, che rimase molto simile nella produzione per parecchio tempo. Fino alla prima metà del XIX secolo, i caratteri utilizzati erano in metallo, scolpiti con punzoni appositi e, per lungo tempo, furono realizzati da orafi ed artigiani del settore (lo stesso Gutenberg era, per prima cosa, un orafo). Maiuscole, minuscole, numeri, punteggiatura: tutto si realizzava in questo modo. Ci volevano migliaia di caratteri, o font, per poter stampare al meglio, e venivano realizzati tramite fusione di piombo, antimonio e stagno, capaci di formare una lega che si concretizzava in un blocchetto con il rilievo desiderato: lettera, numero, etc…
Per dare ordine alle dimensioni di ogni cubetto per la stampa, si utilizzo il punto Didot, elaborato nel 1770 da Francois Ambroise Didot e che mirava a dimensionare i caratteri per punti della lunghezza di mm 0,376. La dimensione verticale del carattere si chiama “corpo” e oggi la ritroviamo nei programmi di videoscrittura, espressa proprio in punti. Rispettando le dimensioni a cui era arrivato Didot, fu possibile comporre pagine nelle quali i caratteri avevano scientificamente tutti lo stesso corpo, con una sensazione di ordine e precisione ben diversa da quelli del passato.
Il corpo del carattere è, a sua volta, diviso in due parti: l’occhio, compreso tra la linea inferiore del cubetto e la linea superiore che corrisponde alla massima ascendente della lettera minuscola, e la parte dedicata all’accentazione, alle dieresi e ai segni diacritici. Tutti i cubetti per la stampa venivano conservati in banchi o banconi da compositore, di solito realizzati in legno stagionato. Al loro interno, venivano stipate 12 o 24 casse, a loro volta suddivise in scomparti, uno per corpo di una determinata serie di caratteri. Tra tutte le casse, con diverse suddivisioni, la cassa Rossi divenne la più utilizzata.
Al momento della stampa, i cubetti con i caratteri venivano estratti dalla casa, allineati con il compositoio, con giustificazione effettuata per quello che oggi sarebbe un allineamento a tutta pagina. Ogni riga veniva assemblata alle altre, pronta per comporre la pagina da stampare tramite torchio. A fine lavoro, ogni singola lettera veniva riposta con attenzione, pronta per essere ritrovata subito per il lavoro successivo!
Come dicevamo, nella seconda metà del XIX, venne introdotta una nuova macchina per la composizione: la Linotype, una macchina realizzata dall’orologiaio tedesco Ottmar Mergenthaler, che ha automatizzato (e quindi velocizzato) il processo di composizione, con enormi benefici a tutti i livelli. Da allora, fu possibile comporre velocemente anche giornali da più di 8 pagine, tutto con un solo operatore che stava davanti a una tastiera a mo’ di compositore.

La Linotype si componeva di un leggio e una tastiera, battendo sui quali tasti si sollecitava la matrice giusta. Le matrici si allenavano sul compositoio, fino a completare la riga. A quel punto, un primo elevatore fondeva tutta la riga con la lega di metallo fuso, mentre un secondo elevatore separava le matrici dagli spazi mobili. Il terzo elevatore affidava le matrici alla distribuzione, dove un prisma a viti elicoidali girava, fino a farle cadere dopo l’uso. Questa geniale macchina rendeva il processo di composizione molto più veloce, utilizzava caratteri sempre nuovi da fusione, eliminava i refusi, cioè i caratteri di dimensioni diverse, e poteva stampare testi lunghi senza paura di finire i caratteri da stampa.
Certo, in caso di errore, era necessario ricomporre tutta la riga e si potevano comporre esclusivamente testi dal corpo 6 al corpo 14, ma ciò non toglie che la Linotype fu la macchina per eccellenza fino al XX secolo, per esattezza fino all’introduzione della fotocomposizione, negli anni ’80 del secolo scorso.
L'evoluzione della tipografia nell'era moderna
Dagli anni ’80 del ‘900 ad oggi, l’evoluzione della tipografia è stata rapida e continua. Grazie ai consistenti investimenti e alla continue migliorie tecnologiche, la stampa oggi è veloce, di alta qualità e molto competitiva. Ti basta fare un giro per il web per scovare la tipografia online che fa più al caso tuo, perché sono davvero centinaia.
La stampa, oggi, è prevalentemente offset o digitale, ecologica, su carta certificata FSC, con nobilitazione incredibili, come quelle eseguite con oro a caldo, con riserve di vernici lucide o opache, con punzonature, con rilievi. Insomma, dal XV secolo, ne è passata di acqua sotto i ponti, ma se qualcuno non avesse avuto l’intuizione di aiutare gli amanuensi con un processo meccanico, forse oggi non saremmo al punto nel quale ci troviamo… E chissà quante altre innovazioni ci aspettano per il futuro della tipografia!
Quattro musei della tipografia e della carta, da visitare in Italia
Per addentrarsi al meglio nell’affascinante storia della carta e della tipografia, abbiamo pensato di suggerirti quattro musei da visitare, perché conservano gelosamente macchinari e processi di lavorazione tipografica, testimoni di una storia ricca e da sempre interessante.